TESTIMONIANZE

L’arte di Victor de Sabatadi Carlo Maria GiuriniTratto da: Teodoro Celli, “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978

L’arte di Victor de Sabata di Teodoro Celli

Vorrei ricordare innanzitutto un avvenimento che è incancellabile nella mia memoria, ossia il mio primo incontro con de Sabata, la prima volta in cui mi sono trovato di fronte a questa straordinaria figura di musicista e di direttore d’orchestra. Quando sono venuto da. Bolzano a Roma, a poco più di quindici anni, per frequentare il Conservatorio, per la prima volta nella mia vita sono entrato nella magica sala dell’Augusteo, e lì per la prima volta ho sentito questo direttore, Victor de Sabata, che naturalmente non conoscevo. Per una combinazione, a questo concerto assisteva mio padre, che era venuto a trovarmi. Mio padre non era musicista. Nel programma c’era la Quinta Sinfonia di Beethoven, e ho visto mio padre piangere.
Mi dispiace ricordare un fatto così personale; ma di queste lacrime di commozione di mio padre io per tutta la mia vita sarò grato a de Sabata!

Da allora, naturalmente ho continuato a frequentare i concerti, passando dal loggione alla galleria e poi finalmente ho avuto quella che posso definire veramente la più grande gioia della mia vita musicale: ho vinto il concorso per il dodicesimo posto di viola, nell’Or­chestra dell’Augusteo. Così, sono entrato in questa straordinaria or­chestra e da allora ho avuto la possibilità non solo di ascoltare, ma di suonare con tutti i grandi direttori, e molto con de Sabata.

Da allora per de Sabata — non più visto dalla galleria, dal loggione o dalla platea ma dalla seggiola dell’orchestra, « dal di dentro » — è nato un sentimento totale, fatto di ammirazione, di entusiasmo, di amore! Questa mia reazione è stata veramente così spontanea, così luminosa, così giovane, forse: ecco, un sentimento assoluto, com­pleto!

Si sa che le seggiole dell’orchestra sono un punto speciale di valu­tazione di un direttore d’orchestra, perché c’è un contatto diretto, c’è il contatto delle prove e c’è soprattutto quello che un musicista del­l’orchestra riceve, non solo da un punto di vista tecnico o interpretativo, ma da un punto di vista psicologico. La personalità dell’indi­viduo, del singolo musicista dell’orchestra, è coinvolta in questo fatto strano, straordinario, qualche volta magico, che consiste nel trasfor­mare la scrittura musicale, e la lettura, in un fatto di vita!

Ecco: in de Sabata questo era un fenomeno ad un livello assolutamente fuori dell’ordinario, eccezionale, come eccezionale era la sua capacità di ottenere risultati superiori a quelli che tutti reputa­vano i limiti possibili di un’orchestra, qualche volta addirittura con dei mezzi al livello dello spasimo e qualche volta, della provocazione! E ciò volutamente, perché da quest’atmosfera al limite della rottura tutto cominciava. Quando c’era questa tensione, allora tutto si scio­glieva e cominciava la musica!

Perciò la presenza di de Sabata è stata fondamentale, determi­nante; e parlo anche a nome di tanti musicisti di orchestre non solo italiane. Quando mi trovo, a causa del mio lavoro, fuori d’Italia — non importa dove — il nome di de Sabata in tutti i musicisti che hanno suonato con lui ricorre ogni momento con un accento che è particolarissimo: si parla di de Sabata.

In seguito, quando già mi ero dedicato alla direzione, sono stato chiamato da de Sabata alla Scala ed ho lavorato con lui, vicino a lui. Poi è successa una cosa terribile: de Sabata è stato colpito; è stato colpito come un meraviglioso uccello in pieno volo! De Sabata non era né vecchio né malato: era nel pieno del suo fulgore. Tutto quello che aveva fatto in quel periodo — io ero stato vicino a lui per l’incisione di Tosca, il Requiem di Verdi — lo aveva fatto nella pienezza della sua creatività. E nessun segno, nessunissimo segno della minima stanchezza, del minimo disagio fisico, niente! De Sabata è stato colpito in volo! Ed è stata una cosa terribile sapere questo grande, grandissimo personaggio, colpito! Direi che la vita musicale è diventata più povera, perché… come si poteva sostituire de Sabata?

Eppure toccò proprio a me, il 7 dicembre 1953, per l’inaugurazione alla Scala con La Wally, non dico di « sostituire » de Sabata, ma di trovarmi sul podio in sua vece. No!, non riesco a raccontarlo. Ciò che conta è il fatto musicale: e quando noi siamo in que­sto campo, siamo come dei combattenti, dobbiamo sostenere il comandante che cade.

E nel momento seguente, in cui io ho dovuto affrontare la musica, allora era Catalani che comandava, io ero al servizio di Catalani, e non potevo pensare ad altro che a servire questa musica nel modo migliore possibile. Il mio caso umano, il mio fatto sentimentale, doveva scom­parire. O tutt’al più indurmi a mettere, se fosse stato possibile, an­cora più amore, ancora più dedizione in quello che facevo, pensando che questo era ciò, che de Sabata voleva e ciò che dovevo fare!

Certo, c’era l’atmosfera delle prime della Scala, che è sempre una atmosfera molto difficile, anche eccitante, ma difficile. C’era una realtà obiettiva, alla quale non si può sfuggire, quella che si riassume nelle parole: … « si accendono le luci e lo spettacolo deve andare avanti!»

Appena è stato possibile parlare con de Sabata, appena i medici mi hanno permesso di avere un contatto con lui sono andato subito nella clinica di Rapallo, dove stava; e così ho visto per la prima volta. il Maestro dopo la malattia; e poi da allora, quando man mano è migliorato e si è trasferito a Santa Margherita, lo vedevo regolarmente.

De Sabata era un uomo molto introverso. Ha affrontato questo destino tragico con una dignità, con un coraggio che è difficile immaginare. Credo che nessuno sappia, forse neanche i suoi figli, cosa c’era dentro il suo animo, cosa c’era dentro il suo cuore; come lui veramente, quando era solo con se stesso, valutasse questo destino che gli era toccato. Quello che io so è che in tutte le ore che ho passato con lui, in tutti i colloqui che ho avuto con lui c’era una straordinaria dignità, un incredibile coraggio. Non ho mai sentito una parola di ram­marico, un accento di disperazione. Continuava a interessarsi della vita della Scala, sapeva tutto, seguiva tutto, era informato di ogni cosa; « Maestro, come sta? » « Benissimo! » « Ha qualche cosa da… » « Niente, va tutto bene, tutto in ordine ».

Componeva, scriveva, prendeva appunti. Non ho mai sentito dire da de Sabata una parola meno che cordiale verso i colleghi. E casomai non nominava il collega, generalmente parlava di colleghi solo per dirne bene; come minimo ne parlava con rispetto.

Questa impossibilità di de Sabata di comunicare non so se fosse un fatto costituzionale della sua personalità o se fosse una regola che egli si era imposto. Probabilmente era stato un lungo allenamento che aveva fatto, a controllare e a dominare una forma di complesso fisico che naturalmente poteva essergli venuta e che lui superava naturalmente con questa forza d’animo; a parte il suo genio, in musica, come nella vita di tutti i giorni, naturalmente.

Col passare degli anni purtroppo è stato sempre più difficile avere un vero contatto umano con lui: voglio dire un contatto sentimentale, appunto perché de Sabata si era creato una sua disciplina, una regola, che lo metteva in una specie di mondo astratto. La cultura di de Sabata spaziava in campi molto vasti; egli cercava dei rapporti tra fatti matematici, scientifici e addirittura astrali con il mondo dei suoni. Ma dí questo sappiamo ben poco.

Ecco, la mia vita vicino a de Sabata in quegli anni è stata una vita piena di grandissime emozioni, ma con questo terribile ramma­rico: di sapere che c’è una parte del de Sabata degli ultimi anni che ci è completamente sconosciuta.

L’artista Victor de Sabata è una figura che sta nella storia dell’interpretazione con una sua dimensione precisa ed inimitabile. Da de Sabata hanno imparato tutti quelli che hanno avuto il privilegio di ascoltarlo; io ho avuto anche il privilegio di essere stato vicino a lui alla Scala, in un momento di grandissima creatività. Vedere de Sabata lavorare in teatro con i cantanti, con i registi, vederlo anche rappresentare come figura umana questo grande teatro…

Purtroppo per quanto riguarda la sua arte c’è una carenza di cui tutti soffriamo: è il ridicolo numero di suoi dischi che esistono, in rapporto a quello che noi vorremmo avere di de Sabata! Da questi dischi credo si possa capire molto, ma non tutto; chi ha sentito de Sabata, chi l’ha conosciuto, ritrova nei dischi tante cose; ma per chi non l’ha sentito dal vivo, e direi anche per chi non l’ha visto, è molto difficile: il gesto di de Sabata era un gesto particolare!

Nella grande esperienza che io ho avuto come musicista d’orchestra e più tardi anche nella mia vita professionale, penso che il gesto di de Sabata fosse una cosa unica che non si ripete; ma che purtroppo può vivere solo nei ricordi di quelli che l’hanno visto. Perché, come non ci sono dischi, non ci sono neanche sue riprese filmate.

L’ultima volta che ho sentito de Sabata dirigere: il Maestro è venuto alla Scala per dirigere la « Marcia funebre » dell’Eroica in occasione della morte di Toscanini. In quell’occasione de Sabata ha diretto in un modo che non dimenticherò mai più.