TESTIMONIANZE

L’arte di Victor de Sabatadi Virgilio MortariTratto da: Teodoro Celli, “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978

L’arte di Victor de Sabata di Teodoro Celli

Victor de Sabata è stato un grande, un grandissimo interprete, ma di lui oggi è rimasto poco più della sua fama. I suoi dischi sono scarsi e per lo più mal registrati; il mercato discografico di allora era poco consistente. La sua è stata un’attività assai limitata nel tempo, stroncata troppo presto da un male che non gli ha più consentito di dirigere; per conseguenza, le testimonianze dirette dí quell’importante esistenza sono poche, oggi: sono quelle di una generazione che ormai va scomparendo; il suo nome non si ricorda neppure per l’apporto alla conoscenza della musica dei suoi contemporanei. Sono state rare, per lui, le occasioni di eseguire musiche del suo tempo; eppure era sensibile e interessato a quel che si faceva allora, e lo era anche per i giovani che lo frequentavano.

Ricordo per esempio l’impegno e l’en­tusiasmo nell’eseguire un poema di Pietro Clausetti, giovanissimo, una promessa purtroppo tramontata molto presto! Anche nei miei riguardi è stato sempre attento, incoraggiante, e spesso con affettuosa adesione.

Una sera ero in viaggio da Parigi e l’ho incontrato nel vagone ristorante e mi sono intrattenuto a lungo con lui; era sbarcato quella mattina a Cherbourg di ritorno dall’avere diretto alcuni concerti in America. Poco mi ha detto di quei concerti, ma molto mi ha parlato di parecchie musiche di compositori moderni, che conosceva alla per­fezione. Della sua musica non una parola, ma si compiaceva della mia conoscenza delle sue composizioni lette e studiate in gioventù con alcuni compagni di Conservatorio.

Ho assistito anche ad una recita alla Scala della sua unica opera Il Macigno; ma allora ero troppo giovane e non ne ricordo granché. Soltanto più tardi posso dire di averla conosciuta dalla lettura dello spartito, appunto negli anni di Conservatorio. Con i miei compagni ammiravamo il suo grande mestiere, le magie orchestrali, il linguaggio armonico che trasformava i mezzi della tradizione in meravigliose sensazioni nuove, personali. Ammiravamo quel suo fervore lirico che aggiun­geva ancora una parola al grande passato romantico di buona maniera.

Nelle sue prime partiture c’era una influenza di Richard Strauss che preoccupava i critici, ma non noi; se ne sarebbe liberato. E così è stato. Il mondo di de Sabata si è andato tanto affermando da far pensare che la storia gli avrebbe assegnato un buon posto: non è stato così. Chi soprattutto si opponeva allo sviluppo di quel bel mondo poetico era proprio lui, era de Sabata; che ben presto — non si sa perché — iniziò addirittura una specie di polemica con se stesso e interruppe il lavoro del comporre prima del tempo; né la tarda ripresa della composizione, con le musiche di scena per il Mercante di Venezia di Shakespeare, ha avuto un significato determinante di proseguimento.

E così, il catalogo delle opere di Victor de Sabata si riduce a ben poco, che è, un «poco» — è vero — di una perfezione tecnica impressionante, piena di calore lirico, piena di fantasiose suggestive invenzioni sonore; ma è assai limitato come numero di opere e dalla Storia non è stato collocato con speciale rilievo. Ciononostante, nel doveroso ricordo di lui, oggi vanno riproposte anche le sue composizioni che — a parer mio — aggiungono al valore dell’interprete an­che la testimonianza di una felice esigenza creativa.

 

In: Teodoro Celli,  “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978