TESTIMONIANZE

L’arte di Victor de Sabatadi Ugo UjettiTratto da: Teodoro Celli, “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978

L’arte di Victor de Sabata di Teodoro Celli

Questo « ritratto » di de Sabata mentre dirige il Tristano, fu pubblicato da Ugo Ojetti sul « Corriere della Sera » del 20 dicembre 1931 col titolo La fuga dal reale. L’autore delle Cose viste aveva saputo stupendamente « vedere » anche il nostro Maestro.

“De Sabata, in marsina, sul podio dirige il preludio del Tristano. I violini, per la volontà di quel fascio di nervi, sono una voce sola, umana, più che umana. Il volto pallido è affilato dalla tensione; la lunga mano tut­t’ossa (si vedono sul dorso le falangi delle dita continuare sotto la guaina della pelle una a una fino al polso) s’apre in uno scatto, si rattrae in un brivido, cade esausta sul leggio vuoto; intorno agli occhi grigi mobili vigili le occhiaie si fanno più e più fonde, scavate dal travaglio; le orecchie sole s’arrossano come se tutta la vita di quel corpo magro e ardente si concen­trasse li, nell’udire. Chi gli è vicino l’ode accompagnare con voce sommessa la musica, quasi che a tacere soffocasse. La progressione sale verso un cielo sempre più alto, come un caccia che guizzi su di nuvola in nuvola cercando il sereno, cercando Dio, l’irraggiungibile felicità di Dio; e le stelle sono sempre più lontane. De Sabata sembra più lungo, più sottile, quasi abbia a svanire, puro spirito. D’un tratto il rombo celeste si tace. Due note sole, basse, pizzicate dagli. archi cadono nel silenzio come due lagrime nelle tenebre. Un attimo, e comincia la Morte d’Isotta. Ma in quell’attimo vedo un poco dì sangue rifluire sul viso di de Sabata, e le labbra tumide gio­vanili aprirsi in un lungo respiro.

Si, c’è il disco. Ti dà tutto dei suoni, o quasi. Se il ricordo del concerto è recente, chiudendo gli occhi si può tentar di rivedere a lampi il direttore e quel suo spasimo dominato dall’intelligenza, e quella volontà aguzzata dal sentimento; e sotto lui l’orchestra che gli obbedisce, gli crede e gli s’abbandona, fa un’anima e un corpo solo con lui. Ma questo si rivede a lampi; e se non s’era al concerto non s’immagina niente. Dice Reinhardt che lo spettatore è un attore in potenza. Davanti al grammofono, udiamo, ma non viviamo, non soffriamo, non godiamo: una macchina anche noi, bene oliata e, se si può dire, contenta; ma soltanto macchina. L’uomo reale è fuggito da quell’istromento a ripetizione. S’ascolta, s’ammira, ma s’è soli con un fantasma. “

 

In: Teodoro Celli,  “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978