La famiglia
Victor de Sabata fu figlio d’arte. Suo padre Amedeo (1869-1951) si dedicò alla musica fin da bambino e partecipò alla vita musicale di Udine, la sua città natale, dapprima come fanciullo cantore e comparsa nelle opere liriche, poi come corista e sostituto direttore dei cori. Nel 1888 Amedeo de Sabata si trasferì a Trieste, dove sposò una ragazza austriaca di famiglia ebrea, Rosita Tedeschi, sua allieva di canto.
Nei primi quattro anni di matrimonio nacquero i tre figli: Victor nel 1892, Amedeo nel 1893 e Libero nel 1895. Amedeo si trasferì con la famiglia a Milano nel 1895 e per un periodo lavorò al Teatro alla Scala. L’anno successivo ricevette l’invito a dirigere il coro dell’Opera di Montecarlo – incarico che svolse per più di quarant’anni, alternandolo a lunghe tournées in teatri di tutto il mondo. La famiglia continuò a vivere a Milano e i figli crebbero sotto la guida della madre. Victor de Sabata fu legatissimo ai genitori per tutta la vita: ereditò dal padre il talento musicale e uno spirito vivace e tagliente; dalla madre un severo senso del dovere e della disciplina.
L’infanzia
Victor de Sabata trascorse i suoi primi anni di vita a Trieste dando prova fin da giovanissimo della sua intelligenza fuori dal comune. Cominciò a suonare il pianoforte all’età di tre anni; a cinque eseguiva a orecchio interi brani del Guglielmo Tell di Rossini, mentre il padre lo aiutava a raggiungere i pedali del pianoforte, a cui non arrivava ancora.
Oltre la musica la sua passione erano le navi, che aveva modo di osservare nel porto di Trieste e sulle quali faceva incessanti domande riguardo al funzionamento di strumenti e macchinari. La passione per le navi e l’ingegneria non lo abbandonò mai e influenzò molto il suo modo di concepire la musica quale un grande e complesso meccanismo da studiare nei minimi particolari per farlo funzionare al meglio.
Victor aveva anche un grande talento per le arti figurative. Il pittore Trubezkoy, vicino di casa dei de Sabata a Milano, chiese infatti che il piccolo gli fosse affidato per farne un pittore, ma la predisposizione musicale fuori dal comune convinse i genitori a iscriverlo al Conservatorio di Milano. Superato brillantemente l’esame di ammissione, fu iscritto al corso di Composizione.
Nonostante l’intensità degli studi musicali e la menomazione a una gamba a causa della poliomielite, Victor era un bimbo vivace: si dedicava ai giochi più scalmanati con i fratelli e organizzava scherzi terribili ai compagni di studio più anziani. In seguito si descrisse addirittura come “teppistico”.
Gli studi
Victor de Sabata fu affidato alla classe di Contrappunto di Michele Saladino e a quella di Teoria e Solfeggio di Ettore Pozzoli. Oltre a queste frequentava anche il corso di Pianoforte complementare e, dal terzo anno di studi, anche Violino complementare. Come se non bastasse frequentava come uditore le classi di tutti gli altri strumenti, apprendendone le rispettive tecniche. Il suo impegno fu tale che arrivò a suonare tutti gli strumenti e a conoscerne la tecnica in maniera approfondita, il che gli permise durante la sua carriera di direttore d’orchestra di dare consigli utili a risolvere passi difficili ai musicisti che dirigeva, e di ottenere sonorità particolarissime e inconfondibili dalle orchestre, spiegando esattamente il modo di suonare per conseguire un determinato effetto.
Per l’ultimo anno di Conservatorio de Sabata passò nella classe di composizione di Giacomo Orefice, che proprio in quell’anno iniziava a insegnare a Milano. Orefice riconobbe immediatamente e incoraggiò le straordinarie qualità del suo nuovo allievo, il quale a sua volta nutriva grande ammirazione e affetto per il suo maestro. Il 3 maggio 1910 Victor de Sabata conseguì il Diploma finale di Composizione con una media di 9,65 punti.
La carriera
Terminato il Conservatorio, Victor de Sabata aveva già una discreta fama come compositore. La sua Suite per grande orchestra, presentata per il diploma, aprì le commemorazioni del Conservatorio per il decimo anniversario della morte di Giuseppe Verdi. Il brano fu ampiamente recensito dai quotidiani, che notarono la maturità e la padronanza nell’uso dell’orchestra nonostante i suoi soli diciotto anni. La Suite fu in seguito eseguita da grandi direttori d’orchestra, tra cui Tullio Serafin, Antonio Guarnieri e Giorgio Federico Ghedini. In seguito al successo, la casa editrice Ricordi gli commissionò un’opera lirica: Il Macigno (poi rinominata Driada) venne diretta da Ettore Panizza alla Scala il 30 marzo 1917.
Nel 1918 Victor de Sabata fu scritturato come direttore stabile dall’Opéra di Montecarlo: nella stagione del 1919 diede le prime importanti prove del suo talento direttoriale in opere di Giacomo Puccini (Tosca, La Rondine, La fanciulla del West) e Giuseppe Verdi (Falstaff). Al 1919 risale il suo poema sinfonico Juventus, dedicato al fratello Libero.
Nel 1921 fu chiamato a Roma a dirigere all’Accademia di Santa Cecilia, che alternò al suo impegno stabile a Montecarlo. Nel 1923 scrisse il quadro sinfonico, La notte di Platon, che diresse in prima esecuzione all’Accademia di S. Cecilia in Roma il 25 nov. 1923. Nell’ottobre dello stesso anno sposò Eleonora Rossi.
Il 21 marzo 1925 diresse all’Opéra di Montecarlo in prima rappresentazione L’enfant et les sortilèges di Maurice Ravel, il quale scrisse a de Sabata il giorno dopo:
“…Mi avete dato una delle gioie piu’ complete della mia carriera…”
Del 1925 è il poema contemplativo Gethsemani.
In questi anni, oltre al repertorio verista, de Sabata si avvicinò al teatro di R. Strauss, di cui diresse in prima esecuzione a Montecarlo Il cavaliere della rosa. Da questo momento la sua carriera non conobbe soste. Stabilitosi a Milano nel 1926, si dedicò prevalentemente all’attività sinfonica, riducendo quella teatrale. Diresse concerti sinfonici alla Scala e partì poi per gli Stati Uniti chiamato a dirigere a New York e a Cincinnati durante l’assenza di Fritz Reiner. Tornato in Italia agli inizi del 1928, riprese la carriera nei maggiori centri musicali del paese, presentando spesso opere in prima esecuzione, e proseguendo la sua attività all’Opéra di Montecarlo.
Nel 1929 nacque il figlio Elio, e compose la fiaba coreografica Le mille e una notte su soggetto di G. Adami
Nel 1930 fece il suo esordio alla Scala. Nello stesso periodo tornò più volte all’Accademia di S. Cecilia e fu poi ospite del Maggio musicale fiorentino. Consolidata la sua fama, venne richiesto dalle maggiori istituzioni musicali europee: la Staatsoper di Vienna, i Berliner Philharmoniker in Germania, dove diresse anche una tournée della Scala a Monaco e Berlino,. Nel 1939 fu al festival di Bayreuth ove, fatta eccezione per Toscanini, nessun altro direttore estraneo all’orbita tedesca era mai stato ammesso a dirigere Non trascurò mai completamente la composizione; tra il settembre e il dicembre 1933 aveva infatti composto le musiche di scena per il Mercante di Venezia di William Shakespeare che eseguì in prima assoluta a Venezia il 18 luglio 1934 con la regia di Max Reinhardt.
Nel 1934 nasceva anche la figlia Eliana.
Ormai la sua attività non conosceva soste e si guardò a lui come il più prestigioso dei direttori italiani attivi nel nostro paese non soltanto per l’impegno professionale e la straordinaria versatilità che gli consentiva di poter affrontare un repertorio vastissimo, ma soprattutto per il rigore stilistico e la serietà interpretativa.
Durante la Guerra diresse numerosi concerti con le orchestre dell’EIAR di Roma e di Torino; fu ospite di varie istituzioni concertistiche internazionali come il Festival di Lucerna, e continuò a collaborare con la Scala fino al 1943, anno in cui il teatro venne distrutto da un bombardamento. Tra il 1943 e il 1945 visse a Roma; alla fine della guerra raggiunse la famiglia a Gavarno (Bergamo).
Dopo la fine del conflitto fu invitato a dirigere a Londra, raccogliendo unanimi consensi dalla critica inglese. Oltre che alla Scala, all’Accademia di S. Cecilia e al Maggio musicale fiorentino, che furono i centri più importanti della sua carriera direttoriale, fu in tournée a Genova, Zurigo, Ginevra, Basilea, Lugano, ospite di varie istituzioni straniere tra cui la BBC, I’Albert Hall, il Covent Garden di Londra, il teatro Colón di Buenos Aires, i Berliner Philharmoniker e i Wiener Philharmoniker. Fu più volte negli Stati Uniti: a Chicago, ove diresse la Chicago Symphony Orchestra con cui fece varie tournées in numerose città americane, alla Carnegie Hall di New York, a Boston, Washington, Filadelfia, Los Angeles; quindi, tornato in Europa, fu a Salisburgo, a Edinburgo e in vari centri artistici italiani e stranieri.
Nel 1953 concluse la sua carriera teatrale alla Scala: durante un’incisione discografica della Tosca avvertì i primi disturbi del male che lo avrebbe costretto a rinunciare all’attività. Poco dopo dovette infatti annullare un concerto al Festival di Lucerna per l’aggravarsi dei sintomi e si trasferì a Santa Margherita Ligure per un periodo di riposo. Tornato a Milano nel 1954, volle iniziare le prove per la registrazione del Requiem di Verdi ma non poté più sostenere la fatica direttoriale per il ripetersi delle crisi cardiache. Il 10 novembre 1954 fu nominato sovrintendente artistico del teatro alla Scala; rinunciò all’incarico nel 1956 accettando quello di alto consulente artistico a titolo onorifico. Diresse per l’ultima volta in occasione dei funerali di Arturo Toscanini alla Scala e nel duomo di Milano, concludendo definitivamente la carriera direttoriale il 18 febbraio 1957. Morì a Santa Margherita Ligure (Genova) la notte tra il 10 e l’11 dicembre 1967.