TESTIMONIANZE

L’arte di Victor de Sabatadi Ferdinando PrevitaliTratto da: Teodoro Celli, “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978

L’arte di Victor de Sabata di Teodoro Celli

Ho conosciuto de Sabata quando avevo quindici anni e i pantaloni corti, e suonavo nell’orchestra come decimo violoncello di fila al Teatro Regio di Torino; poi l’ho rivisto e riascoltato ancora a Firenze, a Roma, a Santa Cecilia. Era un dominatore dell’orchestra, gentile ma inflessibile; dotato di un’eccezionale memoria, direi una doppia memoria, istintiva dell’orecchio la prima, che seguiva i rapporti dei suoni; analitica della scrittura musicale la seconda.
Con la prima memoria avvertiva subito il difetto o lo sbaglio d’esecuzione; con l’altra correggeva l’errore dello strumentista, o della parte stampata, con sicurezza assoluta.

A ciò si univa uno sguardo eccezionale, che illuminava — o terrorizzava — tutta la compagine orchestrale; parlava sempre con educazione, ma con voce calma diceva spesso verità scottanti.

Come interprete si può dire che ha certamente creato un nuovo tipo di interpretazione, ricca di grandi contrasti, di sonorità smaglianti, di pianissimi impareggiabili, ottenuti anche con il suo gesto, espressivo in modo inequivocabile. Un sognatore e un turbolento. Licenze condannabili ma che gli ascoltatori accettavano per la potenza della sua convinzione e la perfezione con cui egli presentava talora anche dei veri arbitri.

De Sabata era anche un notevole compositore, aggiornato e progressista: era un musicista profondo; scrivendo era un po’ influenzato da Strauss e forse da Mahler. Era uno Strauss armonicamente più moderno, oppure un mistico ricercatore di atmosfere. L’ultima esecu­zione di musica di de Sabata, La Notte di Platon, l’ho fatta quando il maestro ha dovuto lasciare la Scala. Dopo di ciò, de Sabata mi scrisse una lettera affettuosa per ringraziarmi, ed io la conservo come un carissimo ricordo.