TESTIMONIANZE
L’arte di Victor de Sabatadi Franco AbbiatiTratto da: Teodoro Celli, “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978
Ogni concerto di Victor de Sabata, per noi ragazzi più o meno fedeli frequentatori del loggione dell’Augusteo, era contemporaneamente una gioia dello spirito — come si dice — e una rappresentazione. Perché de Sabata mimava la musica, e la rendeva plastica; e quindi più che in teatro, in cui si è attratti dalla visione scenica, in concerto dove verso il direttore confluiscono tutti gli sguardi e gli interessi, c’era questa rappresentazione della musica, questa « plastificazione » della musica attraverso il gesto. Faceva molta impressione a noi giovani questo ancor giovane direttore d’orchestra triestino, claudicante, che balzava, saltava e danzava sul podio!
Mi ricordo soprattutto l’impressione della danza; ma questo però era soltanto il lato spettacolare. Poi c’era il lato interpretativo; e mi pare si possa affermare che, come ogni compositore ha una sua particolare orchestra, un suo particolare timbro, così ogni grande direttore ha un timbro speciale, personale dell’orchestra. Il timbro dell’orchestra di de Sabata era estremamente raffinato, estremamente sensibile e quindi la lettura della musica di de Sabata non avveniva soltanto attraverso una interpretazione intellettualistica o strutturale, ma soprattutto attraverso il filtro del timbro.
Qualche particolare che mi viene in mente e mi è rimasto impresso. Un Otello di de Sabata, secondo atto, duetto Otello-Jago in cui Jago racconta il sogno, il falso sogno di Cassio. Ebbene, quegli archi in sordina erano così ambigui… tanto che de Sabata credo facesse fare agli archi un portamento che in Verdi non è scritto; ma questo portamento era un dettaglio psicologico talmente penetrante, talmente inquietante; era evidentemente conforme al testo, alla situazione scenica e conforme al personaggio. Ma lui aggiungeva qualche cosa di più: aggiungeva quel sospetto di «strisciato» che serpeggiava tra tutti gli strumenti, il che dava una sensazione addirittura angosciosa.
Un altro ricordo: la sottigliezza della lettura di Jeux di Debussy, che de Sabata era l’unico ad eseguire in quel momento, prima ancora delle analisi strutturali e vagamente gratuite di Boulez; questo Jeux ci era presentato come un gioco di sublime evasione, di una perfetta evasione spirituale. Questo è de Sabata nei miei ricordi.
Come compositore, de Sabata era un epigono straussiano, e su questo siamo tutti d’accordo. Nelle varie esecuzioni che abbiamo sentito di Juventus — soprattutto di Juventus più che della Notte di Platon, meno eseguita — c’era certamente una carica di giovinezza, di forza, sia pure mediata attraverso Strauss, di cui era così pacifica, e nemmeno nascosta, anzi esibita, la filiazione. Conteneva però una maestria di gesto, di costruzione sinfonica, che era degna di un grande rispetto; anche se adesso una musica del genere probabilmente non è più appetibile, per tante ragioni: sia per il tempo, sia per il gusto, sia anche perché il tempo, ín fondo, filtra molti epigonismi, per ridurli all’osso dell’originalità e dell’autenticità; e perciò anche la musica di de Sabata è dimenticata. Ma forse a torto, come del resto a torto sono dimenticate molte opere di musicisti, di compositori non di primissima grandezza, ma anche di seconda e di terza grandezza, che però varrebbe la pena ogni tanto dí ascoltare. E noi italiani in questo abbiamo una memoria labilissima e un provincialismo anche molto meno labile, per cui ci vergognamo dei nostri antecedenti che non abbiano dei lustrini ma che avrebbero invece delle buone possibilità di essere ancora ascoltati!
Potrei fare dei nomi, un nome qualunque, ma senza esprimere i miei gusti personali, solo come musicista che ama la propria arte e ama anche la storia della propria musica; penso a un Martucci, per esempio, di cui qualche concerto per pianoforte o qualche sinfonia non si fa più. E questo è un male, mi pare; e dico Martucci emblematicamente, poi si può parlare di molti altri. E in questi molti altri cí potrebbe rientrare anche Victor de Sabata compositore: le poche cose che ha scritto in quel momento hanno lasciato un certo segno, tanto che varrebbe la pena di rispolverarle e di rimetterle in circolazione.
In: Teodoro Celli, “L’arte di Victor de Sabata”, ERI/Edizioni RAI, Torino, 1978